Il sole custodisce l'orizzonte. Lo culla, lo disegna, lo nutre di
luce. E lo sposta sempre più in avanti, lo lancia oltre lo sguardo,
dove solo l'occhio della mente lo può raggiungere. Noi, delfini
umbratili, sacri e sacrileghi, sempre in bilico tra eresia e santità,
tra follia e assennatezza, nuotiamo incessantemente tra gli abissi di
un oceano bizzoso e impetuoso.
La linea di questo orizzonte sensuale e seducente si flette, si
distende, si cancella, appare, riappare, acquista forme deformi e
impertinenti, scorre tra le palpebre socchiuse dell'anima, ondeggia e
oscilla nei territori incontaminati e incontenibili
dell'immaginazione, e risplende come un diadema scintillante, come un
crepitio baluginante di un sorriso sperso tra lo spazio obliquo
dell'ineffabile.
La fantasia rotola nell'aria come bolla di sapone diafana e
iridescente, si posa su frammenti di pensieri sconnessi e imprecisi,
sparpagliati tra nuvole eburnee, per stravolgerne il colore e la
sembianza, attingendo trascendenza e misticismo dalle viscere
attorcigliate dell'inquietudine.
Le labbra mordono e divorano il frutto sconosciuto e inebriante
partorito dalla propria raggiante e vorticosa deità, e le mani
forgiano figure fantasmagoriche che si abbeverano alla fonte
inesauribile di una sapienza profonda e nascosta.
I grumi dei respiri si sciolgono e scorrono lungo lingue fiammeggianti
di musiche adornate di orfici misteri. Si dilata il tempo, si dilata
lo spazio. Tutto diviene possibile.
Il seme è nella nostra carne, il fiore è amplesso che sgorga dal
nostro sguardo audace e vorace, e la chiave che apre lo scrigno dei
segreti ancestrali è racchiusa tra le lande di un'isola aspra e
austera dove l'anima teme se stessa e incontra ombre fosche e torve di
fantasmi che la perseguitano e la flagellano.
Al di là della nebbia, al di là del gorgo della tempesta, il cielo
rabbruscato si apre e si spalanca nuovamente alle piogge pulsanti e
sferzanti della luce.
E il sedicente dio ultraterreno, inventato e millantato per renderci
schiavi scheletrici e smunti, viene schiacciato da un dio terreno,
l'unico vero dio che possa davvero esistere, e che abita la dimora del
nostro Io supremo, perfetto e impalpabile, attraversando cicli di
infinite metempsicosi.
--
Chiara Manganelli
Via Santorre di Santarosa, 19
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